Milano Torino Sala Fumatori

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L’idea di questo drink mi viene circa nove anni fa. Ai tempi, prestavo servizio con le casacche rosse a Sesto San Giovanni, in provincia di Milano, per un famoso brand. La mission, di uno dei tanti appuntamenti formativi in cui fui coinvolto, riguardava l’invecchiamento dei drink. Tenete presente che il mondo della miscelazione – per i più nerd mixologist – negli ultimi decenni vive di mode, trend…e tanto sentito dire.

Io ci sono capitato in pieno durante il mio periodo di training. Ad ogni trainer veniva richiesto di presentarsi con un’idea e un concetto; io scelsi l’affumicatura ma scartai da subito quella a freddo, liquida e in tutte le salse. Scartai anche la barrique e le chips di legno, che (per fare un bel lavoro) vanno gestite ad arte affinché riescano a dare tono ad un drink. Alla fine, mi dedicai – come mio solito – al concepimento di un nuovo concept di drink. Carta e penna alla mano, sempre in compagnia dei miei appunti di liquoristica antica (ai tempi gestivo il mio format Taverna degli Alchimisti), cominciai a grammare ed abbozzare una prima idea.

Il mio progetto voleva racchiudere più di un concetto e visto che soffro di una forma paranoide-schizofrenica-antisocial che mi porta sempre e comunque a fare ciò che voglio, ho tentato di inglobare in questa nuova sfida non solo fluidi alcolici ma svariati messaggi riferiti al mio lavoro. Senza scomodare chi è stato rivoluzionario per davvero, immaginate di sfanculare un po’ il sistema e, tentare almeno, di sovvertire le regole come in fondo piace a me.

Con queste premesse, ho deciso che il mio drink doveva possedere questi requisiti:

  1. dire addio all’aperitivo classico e valorizzare per una volta il digestivo,

  2. escludere a priori le costruzioni liquide modaiole,
  3. avere una texture adatta al fine pasto,
  4. essere costruito in pre-batch, senza tanta sbattita per chi si fa ore in piedi dietro un bancone,
  5. diventare un ‘ready-to-drink’ da gustarsi comodamente sul divano di casa in compagnia di un signor sigaro o di una voluttuosa tavoletta di cioccolato,
  6. contenere il concetto di blending spuri,
  7. avere note torbate da drink invecchiato e scatenare sensazioni di piacere riconoscibili da un buon palato,
  8. fondarsi su regole matematiche,
  9. rinunciare a cl/oz a favore di un sistema metrico fatto di parti e di tempo, pensando a tutto ciò di liquido che fa passaggio in legno, 
  10. evitare di essere costruito con prodotti mono brand puntando al all’opposto al blending, e utilizzando un premium whisky come Lagavulin 16 con la consapevolezza di aver tra le mani un prodotto complesso, che poco si abbina ad un contesto reazionario e che, come tutti i distillati importanti, va trattato con i guanti bianchi. Insomma: niente gregari né prime donne, ma piuttosto un impianto costruttivo dove l’equilibrio si fonda sul bilanciamento delle forze in campo.

Se frequentate il locale dove lavoro, nel mio girar tra tavoli, mi avrete sicuramente sentito raccontare questa storia; in caso contrario, in attesa che magari veniate a trovarmi, vi spiego meglio i retroscena del mio Milano-Torino Sala Fumatori.

PUNTO 1
Circa 15 anni fa mi trovai a disquisire con alcuni colleghi che sostenevano che il Milano-Torino non si dovesse somministrare dopo cena. Figuratevi la mia espressione verso codesti dotti e possessori del verbo della miscelazione. Il mio spirito ribelle non ama da sempre le imposizioni, il sentito dire e continua ad essere convinto che un individuo prima di parlare debba imparare a collegare il cervello. Svincolato dalle mode e dalle varie correnti di pensiero, rimango sempre dell’avviso che, studiando, si traggono conclusioni che poco c’entrano con ciò che ci impone il consumismo. Analizzando ed approfondendo studi sulle droghe, soprattutto durante il periodo di Taverna degli Alchimisti, mi sono imbattuto in bitter, aperitivi e vermouth rossi ed ho scoperto, al di là della loro più sfruttata funzione aperitiva, quella eupeptica (di buona digestione). Il gioco a quel punto era fatto e potevo continuare a pensare al mio digestivo alternativo.

PUNTO  2
La parola moda (dal francese mode, derivato del latino modus, “maniera, foggia, misura”) designa l’usanza o il gusto del momento che cambia a causa di una continua ricerca del nuovo. In statistica, la moda (o norma) di una distribuzione di frequenza X è la modalità caratterizzata dalla massima frequenza. In altre parole, è il valore che compare più frequentemente. Siete confusi? Sforzatevi di non ragionare come ci hanno insegnato: il cocktail ha il compito di sovvertire le mode, e diventare di per sé moda, anche in accezione matematica; in questo modo gli ingredienti sono calibrati in modo tale che quelli più frequenti non diventino parte predominante nella ricetta.

PUNTO 3
Immaginiamo una retta sulla quale andiamo a posizionare da sx a dx prima gli aperitivi con una struttura leggera, tagliente, non pesante e via via verso il fondo i cocktail con una texture vellutata e piena. Le beve da fine pasto devono dare la sensazione di qualcosa di rotondo, equilibrato e devono essere dense, capaci di interagire con le parti ricettive del palato e regalare all’attento bevitore un’ultima magia prima che arrivi l’ora di alzarsi dalla sedia. Nel nostro caso ho chiesto aiuto i baccelli di vaniglia.

PUNTO 4
Sono sempre stato fautore del pre batch, trovo allucinante nel 2023 (e lo trovavo 15 anni fa) l’utilizzo di un numero elevato di elementi e l’esibizione del “farlo espresso al banco”. Non ho mai sofferto di complessi da attrazione turistica e dove posso semplificare per migliorare la qualità, ben venga (…magari su questo aspetto ci torniamo più avanti con un articolo dedicato). Rimango dell’avviso che la precisione con misurini e versate non sia verificabile, soprattutto se espressa sotto pressione. Io ambisco alla perfezione dello standard, forse a discapito delle mode imperanti che vogliono tutti i barman – super fighi – presi a versare ingredienti in un tin o in un glass. Immaginate cosa successe, anni fa, quando mi presentai con il mio bottiglione di Milano-Torino Sala Fumatori pronto per essere versato nel bicchiere e bevuto.

PUNTO 5
Il pre-batch non va confuso con il ready-to-drink. Io i miei clienti non li incanto con la mixologia acrobatica (anche perché non ho più l’età per lanciare in aria shaker e bottiglie…) ma con il perfect service che rende i miei signature drink capaci di essere bevuti in ogni circostanza ed in ogni angolo di vita: apri la bottiglia, versi la tua dose e degusti.

PUNTO 6
Amo il blending perché mi dà modo di esprimere il lato più artistico di me e di creare vere e proprie essenze alcoliche.

PUNTO 7
L’invecchiamento che avevo in mente doveva essere elegante e finemente bilanciato dalla vaniglia. Il gioco è stato piuttosto semplice utilizzando Lagavulin 16 anni.

PUNTO 8
Il mio modo di concepire un drink si divide sostanzialmente in tre fasi:

  • vengo folgorato da un’idea che diventa a poco a poco ossessione,
  • provo a digerire l’idea in balia di una forte tensione creativa, che mi vede cercare motivazioni matematiche, sociologiche e filosofiche e combattere con il mio emisfero fuori controllo per non perdere la concentrazione sull’obbiettivo. In questa fase sono di buon umore ma molto assente, chiuso nel mio mondo.
  • passo alla distillazione delle idee fino ad arrivare alla creazione del drink. Tra la fase della ‘digestione’ e quella della ‘distillazione’ finisco per scrivere su un pezzo di carta numeri e proporzioni mentre la mia testa immagina quel drink. Di solito arriva tutto di botto, come una folgorazione. La sensazione è indescrivibile, come riuscire a risolvere un caso complicato, un misto di vittoria interiore contro ogni pronostico ed il nirvana che mi pervade.

Tutto finalmente torna, creare un drink senza i dettami vigenti, creare qualcosa che non esiste seguendo altri parametri, il mio palato e ciò che mi circonda. Utilizzare il tempo come variante per dare corpo al cocktail.

PUNTO 9
Nel mio drink, la proporzionalità degli ingredienti è paritetica al valore del tempo utilizzato dagli stessi ingredienti per amalgamarsi e trovare il loro equilibrio con la gli olii sprigionati dalla vaniglia. Non servono centilitri od once, ma parti ed equilibrio / tempo.

PUNTO 10
Qui è racchiuso tutto il mio sapere ed il mio modo di essere. Il mio Milano-Torino Sala Fumatori non è un twist di un cocktail né una reinterpretazione moderna del padre dell’Americano. Piuttosto il risultato di una sfida con me stesso, che in maniera del tutto inconsapevole ha finito per regalarmi tante soddisfazioni.

Ricetta del Milano Torino Sala Fumatori

  • 1 parte di blending spuro di vermouth rossi, lagavullin 16 anni, baccelli di vaniglia Bourbon
  • 1 parte di bitter Campari

Servire con cubo di ghiaccio 8 cl in bicchiere basso. L’effetto del drink è un digestive.

AL NASO: odore salmastro e di alga marina. Fumoso e torbato, con una punta di vaniglia e un sottile velo di dolcezza, all’olfatto comunica sensazioni uniche.

AL PALATO: fumo e torba invadono il palato regalando alla beva una connotazione maschile ed elegante; nel mezzo si percepiscono note più dolci, come marmellata d’arancia e sherry per poi passare ad un retrogusto salmastro e iodato. In bocca è cremoso, oleoso e avvolgente.

Il bello delle mode e che finiscono

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